• 27 Luglio 2024

Epistème News

Rivista di comunicazione scientifica e medicina integrata

Verso la medicina integrata

Un’alleanza terapeutica per la salute dell’uomo. Incontro con il dottor Sergio Maria Francardo, medico antroposofo, sul tema dell’integrazione terapeutica fra la medicina convenzionale e le medicine non-convenzionali.

Dottor Francardo, secondo lei i principi della medicina allopatica e di quella antroposofica possono convivere all’interno di una stessa terapia?

La medicina integrata è la vocazione naturale della medicina antroposofica. Per rendersene conto basta fare riferimento al testo da cui trae origine: “Elementi fondamentali per un ampliamento dell’arte medica secondo le conoscenze della scienza dello spirito”. A torto, quindi, la medicina antroposofica, per ragioni storiche, ha incontrato una sorta di ostracismo da parte della medicina ufficiale. Atteggiamento che ha impedito lo sviluppo di un dialogo costruttivo. Eppure la medicina antroposofica presenta un percorso interessantissimo anche in ambito oncologico, tanto che sono oltre 200.000 i pazienti trattati in Europa. Anche lo stesso farmaco ricavato dal vischio (Iscador), prima che si riuscissero a fornire dati oggettivi su una certa attività citostatica ed immunostimolante, era tuttalpiù considerato l’elucubrazione di un filosofo, Rudolf Steiner, che in questa pianta emiparassita, che non tocca mai la terra, individuava una sorta di analogia del tumore dell’albero respiratorio. Così quando, già venticinque, trent’anni fa, parlavamo di epigenetica, venivamo considerati con sufficienza. Oggi l’epigenetica, quella conoscenza che descrive tutte quelle modificazioni ereditabili che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del Dna, ha una grande importanza.

Le difficoltà nei rapporti con la cosiddetta medicina ufficiale si riscontrano solo in Italia?
Questa difficoltà di dialogo si è manifestata in modo minore nel mondo di cultura germanica.  La Lukas Klinik, una clinica oncologica antroposofica dove anch’io ho studiato, è abitualmente frequentata anche da medici oncologi allopatici e alle terapie chemioterapiche ufficiali vengono affiancati rimedi antroposofici di straordinaria efficacia, che purtroppo non sempre possiamo utilizzare appieno in Italia per i pesanti limiti della legislazione attuale.
Un esempio è costituito dall’antimonio (1) – l’antico rimedio utilizzato dagli alchimisti – che, trattato in modo particolare, attraverso un processo di sublimazione, polverizzazione e dinamizzazione diventa un rimedio omeopatico a bassa potenza utile nelle patologie da chemioterapia nel favorire la ripresa del paziente. Certo, l’impiego dell’antimonio non riesce a coprire interamente il danno neurotossico del cisplatino; si rivela però un rimedio di estrema efficacia su tanti aspetti lesivi della chemioterapia.

Eppure noti esponenti della medicina e della farmacologia non riconoscono ancora l’efficacia terapeutica dell’omeopatia. Lei cosa ne pensa?
Quando dicono che non esistono prove dell’azione dei rimedi omeopatici ci troviamo di fronte a una manipolazione della verità. Esistono prove inoppugnabili a questo proposito. Esperimenti effettuati in agricoltura. E non si può certo dire che le piante siano suggestionabili.
Ad esempio, possiamo far essiccare un intero campo di frumento con una dose del preparato 501, che è cristallo di rocca (la comune sabbia): una sostanza che, impiegata in dose omeopatica, aumenta la radiazione solare. Inoltre, somministrando dell’arsenico – in dose ultra- omeopatica, quindi senza nemmeno una molecola di arsenico – sulla germinazione dei semi è possibile stressare la crescita delle piante. Esistono ricerche scientifiche persino in numerose facoltà di agraria italiane.
La mancanza di onestà intellettuale che incontriamo in certi ambiti dà spazio anche al lato che potremmo definire meno sano, meno bello delle medicine non convenzionali. La cecità della medicina ufficiale, questo volere fare riferimento solo a ciò che è statisticamente rilevabile – certo un fattore importante che però non può essere l’unica verità – ha dato spazio a figure che potremmo definire “para-omeopatiche” discutibili. Uno per tutti valga l’esempio della prescrizione di rimedi che alcuni millantati omeopati praticano attraverso la sola visione della fotografia del paziente.

Come definirebbe in sintesi il fine che si propone la medicina antroposofica?
Se mi si consente una battuta potrei dire che la vera vocazione della medicina antroposofica è quella di scomparire.
Mi spiego. Una trentina di anni fa Aaron Antonovsky, sociologo della medicina, aveva avanzato precise critiche al sistema sanitario dell’epoca. Per lo studioso israelo-americano occorreva operare un cambio di rotta passando da una medicina essenzialmente incentrata sulla malattia a una che si concentrasse principalmente su come mantenersi al più a lungo possibile in buona salute. Era nata quella che viene indicata come salutogenesi. La sempre maggiore attenzione a una corretta alimentazione e ai corretti stili di vita, come i famosi 10 mila passi quotidiani, si rispecchiano per molti versi nella visione della medicina antroposofica.
Faccio un esempio. Nella medicina antroposofica i muscoli sono sostanzialmente gli organi legati al volere. L’uomo può esercitare il volere solo in quanto dotato di muscoli. Esercitare i muscoli assume quindi un’influenza enorme, non solo perché previene il rischio cardiovascolare e “riduce la pancetta”, ma anche in quanto aiuta a scoprire i nostri veri desideri.

Recentemente si è svolto a Venezia un convegno sulla “vecchiaia” organizzata dalla Fondazione Veronesi nell’ambito del programma “The Future of Science”. Tra gli argomenti affrontati ampio spazio è stato dedicato all’alimentazione. In particolare è stata sottolineata l’importanza di una corretta alimentazione, per lo più riconducibile a una dieta vegetariana. Qual è la posizione della medicina antroposofica a questo riguardo?
Un’altra componente fondamentale della medicina antroposofica è il rapporto con la natura in generale e gli aspetti nutrizionali in particolare. Un’attenzione che si manifesta attraverso una forma di agricoltura molto avanzata quale è l’agricoltura biodinamica.
L’agricoltura biodinamica è attualmente l’unica forma di agricoltura che riesce a superare quell’aspetto – molto vicino a quell’indebolimento generale (detta fatigue) che deriva dalla chemioterapia – che in agraria si chiama stancabilità del terreno, cioè quando lo strato di humus si riduce e perde vitalità oltre un certo livello.
L’agricoltura biodinamica, nata come una medicina del terreno negli anni ‘20 del secolo scorso, usa soprattutto rimedi in dose omeopatica, ottiene risultati importanti nel recuperare il terreno che va verso la desertificazione, come dimostrano le grandi aziende biodinamiche nel deserto australiano e nelle zone più aride dell’India e del Bangladesh. Per questo consigliamo sempre ai nostri pazienti di nutrirsi con alimenti prodotti seguendo i dettami della biodinamica, in quanto hanno una straordinaria vitalità. L’agricoltura biodinamica è infatti il frutto di esperienza e di studi approfonditi.
In Svizzera esiste un istituto di ricerca, il FiBL, attivo da oltre 40 anni, che si occupa di monitorare e confrontare i risultati formidabili dell’agricoltura biodinamica tanto con quelli dell’agricoltura biologica che con quelli dell’agricoltura convenzionale2.
Ma c’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione.
Di basilare importanza è il rapporto col pianeta perché l’alimentazione a basso contenuto di proteine animali significa salvare terreno. Le proteine animali, in termini di impegno del terreno, hanno un’incidenza sette volte superiore rispetto alle proteine vegetali. Oggi si sta sempre più diffondendo una scienza che si chiama arte del cucinare, veramente straordinaria che aiuta a mangiare in modo veramente gradevole. Tutto il mondo si sta riempendo di questi piccoli ristoranti vegetariani, vegani, dove mangi molto molto bene, con cibi biologici a prezzi assolutamente accettabili.

Quale ruolo riveste la capacità di ascolto e la fiducia che il paziente nutre verso il proprio medico?
A volte rimango piacevolmente sorpreso per la fiducia che il paziente nutre nei miei confronti. Riconosco che questa fiducia ha un valore enorme. Anche se importante è essere sempre consapevoli dei propri limiti ed essere sinceri con se stessi. Occorre dare valore non a se stesso ma sostenere questa aspirazione del medico a migliorarsi che è il vero comandamento della medicina antroposofica e della vera medicina.
Prendiamo il caso della medicina narrativa dove gran parte della terapia è legata alla sola possibilità di poter raccontare la propria storia. Ognuno di noi ha bisogno di raccontarsi. Non solo nei momenti importanti della propria esistenza ma anche negli aspetti più quotidiani. Certo non sempre si può ricorrere a figure familiari: anche la mamma dopo un po’ inizia a non poterne più di ascoltare i nostri problemi; in quel momento un medico  profondo di incontrare l’umano può essere una grande risorsa. La bellezza è che lo è per il paziente ma lo è anche per il medico che in un certo senso viene guarito dalle storie dei suoi pazienti: una terapia immunostimolante spirituale.

Il dottor Sergio Maria Francardo, medico antroposofo, è membro della Società Italiana di Medicina antroposofica SIMA ed esercita attività di libero professionista come medico antroposofico dal 1980. È docente di corsi in Medicina antroposofica per medici e farmacisti svolti in Italia e da dieci anni insegna medicina antroposofica ai medici giapponesi.


Note

(1) Antimònio [lat. mediev. antimonium, lat. scient. Stibium] – L’origine del nome non è chiara; alcuni lo fanno derivare dalle parole greche anti e monos col significato di “opposto alla solitudine” altri da antos Ammon, ossia “il fiore di Ammon”. Un’altra possibile origine del nome fa riferimento al monaco tedesco Basilio Valentino, sul quale nulla si sa che abbia storico fondamento. L’alchimista, dopo aver provato l’antimonio coi maiali che ne avevano tratto giovamento, lo aveva somministrato anche ai suoi confratelli che invece, purtroppo, erano morti. Da allora questa sostanza venne chiamata antimoine, cioè antimonaco.

(2) Dal 1978 a Therwil vicino a Basilea città, è in corso l’esperimento a lungo termine denominato DOK. In questo esperimento sono paragonati i sistemi di agricoltura biodinamica con l’agricoltura biologica e l’agricoltura convenzionale. Grazie a questo importante esperimento è stato possibile documentare la superiorità dell’agricoltura biologica sull’agricoltura convenzionale. I risultati sono stati pubblicati in affermate riviste scientifiche.