• 18 Maggio 2024

Epistème News

Rivista di comunicazione scientifica e medicina integrata

Una sanità rispettosa dell’ambiente

La tutela della salute umana e il rispetto dell’ecosistema sono strettamente legati e dipendono l’uno dall’altro. Con il dottor Antonio Bonaldi, past president di Slow Medicine, abbiamo parlato di come sia possibile realizzare una sanità basata su principi di appropriatezza, sostenibilità e partecipazione, attenta alla salute individuale e collettiva e nel contempo rispettosa dell’ambiente.

La sostenibilità è un tema centrale per il futuro del nostro pianeta e delle generazioni future, intorno al quale si sta sviluppando una crescente attenzione. La crisi legata al cambiamento climatico che sta caratterizzando il nostro periodo storico richiede infatti, con sempre maggiore urgenza, l’adozione di stringenti misure volte a ridurre le emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane, così da contenerne le ripercussioni sull’ecosistema.

Occorre quindi adottare soluzioni efficaci e innovative per ridurre l’impatto ambientale dei vari settori produttivi e sociali. In questo contesto, anche le organizzazioni sanitarie, tra le più energivore e inquinanti, hanno maturato una maggiore sensibilità che le ha portate a un crescente impegno per l’individuazione di “buone pratiche” legate al concetto di eco-sanità. Si tratta di una visione olistica che coniuga concretamente sia la cura e la salute dell’individuo sia la salvaguardia dell’ambientale. I centri ospedalieri hanno pertanto avviato un radicale ripensamento strategico della loro mission includendo, accanto alla ricerca di cure sempre più efficaci per migliorare la vita dei pazienti, anche una più attenta gestione degli aspetti concernenti la sostenibilità. Ospedali e complessi medici sono infatti organizzazioni notevolmente complesse, che operano senza soluzione di continuità 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Secondo un rapporto di Health Care Without Harm1 , redatto in collaborazione con Arup2 , se il settore sanitario globale fosse un paese, sarebbe il quinto più grande emettitore di gas serra del pianeta.3 In questo contesto il settore dell’healthcare ha da tempo avviato un processo di rinnovamento strutturale volto a coniugare due realtà apparentemente contrastanti: la cura della salute del cittadino con le esigenze legate alla riduzione dell’impatto ambientale che tale attività comporta.

Realtà solo apparentemente in contrapposizione in quanto salute e sostenibilità sono strettamente collegate, tanto che risulta impossibile separare la salute del pianeta dalla salute pubblica.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), stima che circa un quarto delle malattie e dei decessi nel mondo siano imputabili a condizioni ambientali sfavorevoli, che si traducono in 13 milioni di vite perse ogni anno4.

Anche per il modello One Health – sostenuto dal Ministero della Salute italiano5, dalla Commissione Europea e dalle varie organizzazioni internazionali – la salute umana, quella animale e quella dell’intero ecosistema sono strettamente interconnesse.
Cresce di conseguenza l’attenzione che le istituzioni sanitarie rivolgono nei confronti dello sviluppo di una cultura della sostenibilità che si concretizza nel modello dei cosiddetti “ospedali verdi”6, il cui numero è in costante crescita sia in Italia sia all’estero.
I green hospital si caratterizzano come strutture a elevata efficienza energetica e termica e a ridotto impatto ambientale. Per questo impiegano fonti alternative e rinnovabili di energia e l’adozione di soluzioni tecniche innovative e sistemi avanzati per la ventilazione, climatizzazione e illuminazione. Vengono inoltre approntati sistemi di riciclaggio e impianti di recupero dell’acqua piovana. Mentre per la gestione degli edifici è previsto l’impiego di materiali propri alla bioedilizia. Né viene trascurata la cura delle aree esterne attraverso la gestione degli spazi verdi secondo principi biologici. Ma soprattutto viene promossa una cultura della responsabilità ambientale tra il personale sanitario e i pazienti, che vengono informati sui benefici di una corretta gestione dei sistemi sanitari.
Testimoni di questa crescente sensibilità sono le diverse iniziative di sensibilizzazione organizzate a livello istituzionale, come quella recentemente promossa dall’istituto Auxologico, che ha avuto per tema: Verso una sanità sostenibile. Una sanità a sostegno della transizione ecologica.

Per approfondire alcuni aspetti emersi durante il convegno abbiamo parlato con il dottor Antonio Bonaldi, cofondatore e presidente di Slow Medicine dal 2011 al 2021, ha ricoperto la carica di direttore sanitario in diverse Aziende Ospedaliere-Universitarie a Bergamo, Verona, Milano (ICP) e Monza. Oltre a essere autore di un centinaio di articoli scientifici e divulgativi attinenti alla visione sistemica della salute, alla qualità delle cure, alla valutazione delle tecnologie sanitarie e all’hospital design, ha recentemente pubblicato con Torri del vento Edizioni il volume Salute, medicina e dintorni: consigli semplici per orientarsi in un mondo complesso.

Antonio Bonaldi, cofondatore e presidente di Slow Medicine dal 2011 al 2021
Dottor Bonaldi, grazie per aver accettato di parlare con noi di questo tema così importante e per aiutarci a capire meglio, con la sua esperienza e la competenza maturata in anni di attività professionale, quali sono le sfide e le opportunità che si presentano nel campo della sanità sostenibile.
Attualmente si manifesta una crescente sensibilità nei confronti della tutela dell’ecosistema. In questo contesto anche i medici sono chiamati a fare la loro parte. Anzi si potrebbe dire che sono chiamati a fare la loro parte due volte: come cittadini e come operatori sanitari, in quanto la sostenibilità è un problema che coinvolge la salute e la vita delle persone. In che modo possono dare il loro contributo per ridurre l’impatto che le strutture sanitarie hanno sull’ambiente?

Le cose da fare sono davvero tante. In genere, quando si parla di emergenza climatica, si fa specifico riferimento alle emissioni di CO2, legate in particolare ai combustibili fossili. Questo vale anche per le strutture sanitarie. Così l’attenzione viene rivolta, in primo luogo, all’efficientamento energetico degli edifici. In genere, gli amministratori degli ospedali che definiamo green tendono a occuparsi principalmente di aspetti quali la sostituzione delle vecchie caldaie, l’ottimizzazione degli impianti di condizionamento, l’implementazione di nuovi sistemi di illuminazione a tecnologia LED, l’installazione di pannelli fotovoltaici e l’adozione di misure di controllo dei consumi. Pensiamo alle sale operatorie, ai day hospital e ad altri settori degli ospedali che non vengono sempre utilizzati. In questi casi un risparmio energetico si può banalmente ottenere riducendo o disattivando il funzionamento degli impianti di riscaldamento e raffrescamento.
Bisogna però considerare che, seppur importante, la parte concernente gli edifici riguarda solo il 10% delle emissioni di CO2 imputabili ai servizi sanitari.

E in che cosa consiste il restante 90%?

Oltre al consumo energetico, possiamo ricordare la gestione dei rifiuti e dei farmaci, il consumo di acqua, l’alimentazione e la mobilità di personale e pazienti. Per questo abbiamo identificato sei specifiche aree di intervento, per ciascuna delle quali è stata individuata una serie di azioni che possono essere poste in atto. È proprio su queste aree che i medici e i professionisti della salute possono dare il proprio, specifico contributo.
La prima di queste sei aree di lavoro, per certi versi la più significativa, è quella dell’appropriatezza delle prestazioni sanitarie. Vale a dire che le prescrizioni più green, ossia quelle che hanno minor impatto sull’ambiente, sono quelle che vengono evitate in quanto inappropriate, inutili se non addirittura dannose. Certo si potrebbe dire: ma in medicina si prescrivono esami diagnostici e trattamenti inutili e persino dannosi? Purtroppo la risposta è sì. E non sono io ad affermarlo ma la letteratura internazionale. Alcuni studi hanno evidenziato che solo il 60% delle cure è basato su linee-guida di riconosciuta efficacia, mentre il 30% è inutile o di scarso valore clinico e il 10% è addirittura dannoso.
Intervenire in questo settore significa, quindi, non solo mitigare l’impatto negativo sull’ambiente ma anche migliorare la qualità e la sicurezza delle cure e ridurre gli sprechi.

Nella pratica, che cosa dovrebbero fare i medici?

È fondamentale che i medici, anche in base alla loro specializzazione, siano costantemente aggiornati riguardo alle migliori evidenze scientifiche disponibili in merito alla prescrizione di esami diagnostici, trattamenti e procedure. Questo non solo contribuisce a garantire elevati livelli di cura per i pazienti, ma concorre anche a salvaguardare la salute del pianeta. Al riguardo, per esempio, si può citare l’iniziativa di Choosing Wisely7, un movimento internazionale, presente in Italia e in 35 paesi nel mondo.

Choosing Wisely nasce in America nel 2012 e, pochi mesi dopo, il progetto viene lanciato in Italia da Slow Medicine con il motto “Fare di più non significa fare meglio”. Come si è concretizzato nella pratica medica questo principio?

Le società scientifiche e le associazioni professionali italiane che aderiscono al progetto devono individuare 5 prestazioni sanitarie che, sulla base delle migliori conoscenze scientifiche, risultano prescritte in modo non appropriato.
Di conseguenza, specialisti come cardiologi, diabetologi, neurologi, oncologi, per citarne solo alcuni, individuano, sulla base delle prove di efficacia disponibili, quali test diagnostici, terapie e farmaci comunemente prescritti non apportano benefici significativi ai pazienti, ma – al contrario – li espongono a inutili rischi.
In Italia, a oggi sono cinquanta le società scientifiche e le associazioni di medici e di operatori sanitari che hanno contribuito a questo progetto. E attualmente, sul sito di Choosing Wisely Italy sono state pubblicate oltre trecento raccomandazioni relative a esami diagnostici, trattamenti e procedure che nella maggioranza dei casi sarebbe meglio evitare o comunque prescrivere con oculatezza e solo in casi di specifica necessità.
Per facilitarne la consultazione, sul sito è stata anche messa a punto un’applicazione che consente la ricerca attraverso diversi parametri, quali l’area di competenza, la fascia di età del paziente e il tipo di pratica. È anche possibile effettuare la ricerca tramite parole chiave.

Potrebbe farci alcuni esempi di pratiche che potrebbero risultare inappropriate?

La prima raccomandazione che mi viene in mente è quella di evitare di prescrivere antibiotici per infezioni acute delle vie respiratorie superiori, come raffreddore, sinusite o sindromi influenzali. Sono ormai comunemente noti i rischi legati all’antibiotico-resistenza e agli effetti collaterali, anche gravi, legati all’abuso di antibiotici. Un’altra raccomandazione formulata dalla Società italiana di radiologia medica riguarda la prescrizione di esami radiologici effettuati in caso di mal di schiena non complicato.
Un altro esempio, in questo senso, è il ricorso alla risonanza magnetica del ginocchio per le patologie artrosiche: un problema che riguarda il 60-70% delle persone in età avanzata.
Un ulteriore raccomandazione da segnalare è quella di non prescrivere esami di routine, senza una precisa ipotesi diagnostica: i cosiddetti check-up, per la cui esecuzione non c’è alcuna prova scientifica di efficacia.
Insomma, come ci ricordano OMS e OCSE evitare gli esami inutili è il modo più green per tutelare il paziente, rispettare l’ambiente e salvaguardare il buon funzionamento del sistema sanitario.


Un’altra componente che pesa sull’impronta ecologica delle strutture sanitarie è legata alla grande quantità di rifiuti prodotta, alcuni dei quali possono essere pericolosi o tossici. Questo include rifiuti medici, rifiuti chimici e rifiuti radioattivi. Secondo dati OMS i paesi ad alto reddito generano in media, ogni giorno, fino a 0,5 kg di rifiuti pericolosi per letto d’ospedale.1 Come possiamo ridurre, trattare e smaltire in modo sicuro i rifiuti sanitari?

Purtroppo, occorre osservare che per i rifiuti sanitari non sempre si procede a un’attenta separazione tra pericolosi e non. Sul totale dei rifiuti generati dalle attività sanitarie, solo il 15% è considerato materiale a rischio in quanto infettivo, tossico o radioattivo. Il restante 85% è costituito da rifiuti non pericolosi.
Questi ultimi dovrebbero essere tenuti distinti dai primi, così da poter essere riciclati come facciamo normalmente con i rifiuti domestici. Generalmente, invece, vengono indistintamente trattati come rifiuti speciali e inceneriti, mentre il riciclo consentirebbe di ridurre di 50 volte l’impatto sull’ambiente. In questo senso particolare attenzione deve soprattutto essere rivolta alle sale operatorie da cui proviene la stragrande maggioranza dei rifiuti ospedalieri.

C’è poi il problema dei prodotti medicali monouso, i cosiddetti usa e getta, frequentemente utilizzati per questioni di igiene e sicurezza. Il loro impiego è ormai estremamente diffuso e si distinguono in base alla specificità d’impiego. Ne sono un esempio aghi e siringhe sterili, guanti in lattice – in vinile, in nitrile o cotone –, ma anche strumentario monouso utilizzato in particolari settori della medicina quali ginecologia, chirurgia o urologia e nei diversi reparti per proteggere ambienti o parti del corpo durante interventi, quali cuffie, camici e divise. Una gamma di prodotti il cui impiego ha un impatto sull’ambiente non certo trascurabile se, come riporta l’Oms, ogni anno, in tutto il mondo, vengono somministrate circa 16 miliardi di iniezioni: e non tutti gli aghi e le siringhe vengono smaltiti correttamente.

Certo al primo posto c’è la sicurezza del paziente che, in molti casi, questo tipo di dispositivo garantisce. Questo non giustifica però l’eccessivo ricorso al monouso che si è diffuso in maniera pervasiva anche in situazioni che non presentano particolari rischi. Per contro, hanno invece un notevole impatto ambientale, contribuendo in modo sostanziale all’aumento dei rifiuti sanitari. Pensiamo, per esempio, all’uso indiscriminato dei guanti in lattice utilizzati anche quando non sono strettamente necessari.

Sanità rispettosa dell’ambiente. Il problema dei prodotti medicali monouso, i cosiddetti usa e getta
Foto di Clay Banks su Unsplash

C’è poi un mito che occorre sfatare nei riguardi dei prodotti monouso: il loro basso costo. In genere la valutazione si limita infatti al mero costo d’acquisto, senza contare i costi di smaltimento e l’impatto sull’ambiente. Un altro semplice, pratico esempio per ridurre la mole dei rifiuti è quella di ritornare a un utilizzo di camici e teli chirurgici in tessuto.

Certamente la valutazione dei rischi e dei benefici deve essere attentamente soppesata quando vengono implementate pratiche e politiche sanitarie dell’ospedale, in particolare quando viene presa in considerazione una componente centrale come quella dei farmaci.
Quali possono essere le strade da seguire per definire strategie di monitoraggio e prevenzione per un loro corretto uso?

A parte l’evidente, necessaria oculatezza nella prescrizione, come abbiamo precedentemente evidenziato nel caso dell’antibiotico-resistenza, la valutazione dell’impatto ambientale dei farmaci è un aspetto cruciale per la sostenibilità del settore sanitario.
Oltre alle emissioni di carbonio legate all’industria farmaceutica esiste anche un concreto rischio che i principi attivi in essi contenuti, alcuni dei quali a elevata tossicità, possano disperdersi nelle acque e nel terreno e, quindi, entrare nel ciclo alimentare.
Un discorso a parte meritano poi i gas anestetici, potenti gas serra, capaci di contribuire in modo significativo al cambiamento climatico.
In particolare, le associazioni degli anestesisti hanno focalizzato la propria attenzione sul desflurano, un gas anestetico molto utilizzato in Italia e negli altri paesi industrializzati, il cui effetto sul riscaldamento terrestre è stato valutato 2500 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Sarebbe quindi opportuno ricorrere ad altri gas o ad altri tipi di anestesia, altrettanto efficaci, ma meno impattanti sull’ambiente.
Si tratta di un intervento che non richiede alcun particolare investimento e proprio in considerazione della sua nocività per l’ambiente la commissione europea ne proibirà l’uso a partire dal 2026. Ma perché attendere anni quando si potrebbe facilmente sostituire subito. Nell’ASST Bergamo est, per esempio, il desflurano è già stato abolito in due dei quattro ospedali dell’azienda con attività chirurgiche in corso e negli altri due è stato ridotto l’impiego del 50%.

Un altro settore critico con cui debbono confrontarsi le strutture ospedaliere è quello che potremmo genericamente indicare come il comparto dell’alimentazione.
Secondo uno studio realizzato dalla FAO in collaborazione con il centro di ricerca della Commissione Europea, il settore alimentare contribuisce per oltre un terzo alle emissioni globali di gas a effetto serra. Qual è l’incidenza per quanto riguarda il settore ospedaliero?

Relativamente al settore sanitario, il cibo rappresenta il 6% del totale delle emissioni. La buona notizia e che ci sono molte azioni che possiamo intraprendere per ridurre questo impatto e che tali azioni hanno anche una benefica ricaduta sulla nostra salute personale.
Adottare un approccio alimentare tendenzialmente vegetariano non solo riduce l’impatto ambientale ma ci aiuta anche ad ammalarci meno.
Gli ospedali sono centri dedicati alla cura della salute e pertanto ciò che si mangia in ospedale dovrebbe essere d’esempio di come alimentarci in modo salutare e sostenibile. Purtroppo, non è sempre così. Non penso che dobbiamo diventare tutti vegetariani, ma se vogliamo avere cura della nostra salute dobbiamo seguire una dieta che tenga conto di corretti principi nutrizionali. I medici possono incoraggiare questo tipo di cambiamento nei loro pazienti e nella comunità. Merendine o bevande ad alto contenuto di zuccheri dovrebbero essere evitate. Per questo sarebbe opportuno non installare distributori di snack negli ospedali, in quanto promuovono abitudini alimentari non salutari. Sarebbe inoltre opportuno ridurre l’uso di bottiglie di plastica impiegando distributori automatici d’acqua potabile, dotati di sistemi di raffreddamento, che attingono direttamente agli acquedotti. La cosiddetta acqua del rubinetto è affidabile e controllata.
Come ho già detto, gli ospedali dovrebbero fungere da centri educativi, promuovendo pratiche alimentari sostenibili e riducendo gli sprechi di cibo. Nelle refezioni ospedaliere spesso si verificano sprechi che potrebbero essere ridotti attraverso una migliore pianificazione degli acquisti e della preparazione dei pasti e promuovendo la raccolta, per scopi benefici, del cibo inutilizzato.

Tra le aree di intervento da lei indicate figurano anche i trasporti. Le strutture sanitarie generano un flusso costante legato al movimento di pazienti, personale e fornitori, che può incrementare l’intasamento della viabilità. Certo le problematiche legate a una mobilità sostenibile non possono essere a carico delle strutture sanitarie ma coinvolgono, inevitabilmente, anche le amministrazioni comunali e regionali. In quale modo però ospedali e strutture mediche possono dare il loro contributo per ridurre l’impatto legato al traffico?

Il traffico generato dall’afflusso di pazienti, visitatori, personale, ambulanze, e via dicendo – insomma tutta la mobilità che gravita intorno agli ospedali – pesa per il 15% nella composizione di quel restante 90% dell’impatto ambientale imputabile alle strutture sanitarie, cui accennavamo prima.
Anche in questo settore possono essere poste in atto molte iniziative. Innanzitutto, occorre promuovere l’utilizzo dei mezzi pubblici e la realizzazione di percorsi che consentano di raggiungere facilmente le strutture sanitarie mediante piste ciclabili e percorsi pedonali ad hoc. In questo caso è utile coinvolgere le amministrazioni locali, ma anche gli amministratori dei servizi sanitari possono contribuire, per esempio, creando appositi spazi attrezzati per il parcheggio di biciclette e monopattini. Recentemente l’ospedale di Bergamo ha inaugurato un parcheggio che può ospitare fino a 90 biciclette. Certo una bella notizia ma ben poca cosa se pensiamo ai due ciclo-parcheggi sotterranei recentemente inaugurati ad Amsterdam sotto la stazione ferroviaria, aperti 24 ore su 24, che possono ospitare fino a 11 mila biciclette.

Ma c’è anche un modo indiretto, diceva, in cui le strutture sanitarie possono contribuire ridurre l’inquinamento atmosferico e acustico legato alla congestione stradale?

Certo un contributo in questo senso viene dallo sviluppo di iniziative come la digitalizzazione dei servizi sanitari che consente ai pazienti di accedere in modo più rapido ed efficiente ai servizi medici direttamente da casa. A questo si affiancano tecnologie all’avanguardia come la telemedicina e il teleconsulto che consentono di fornire assistenza sanitaria e il confronto e la condivisione delle scelte mediche tra i vari professionisti coinvolti. Certo non si tratta di sostituire le visite di persona, ma di un modo per razionalizzare e ottimizzare parte del lavoro del medico nelle situazioni in cui la prestazione può essere svolta a distanza.

In ogni caso, a conclusione di quanto fin qui detto, è fondamentale sottolineare come la riduzione dell’impatto ambientale delle strutture sanitarie non possa essere relegata a singoli, sporadici interventi ma vada affrontata nella sua globalità, attraverso strategie programmate che prevedano interventi strutturali integrati e pluridisciplinari.

Sanità rispettosa dell’ambiente. Tecnologie all’avanguardia come la telemedicina e il teleconsulto per fornire assistenza sanitaria
Foto di Irwan @blogcious su Unsplash
Fonti consultabili per ulteriori approfondimenti:

I sistemi alimentari rappresentano oltre un terzo delle emissioni globali di gas a effetto serra – Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO)

I sistemi alimentari sono responsabili di un terzo delle emissioni globali di gas serra antropiche – Nature


  1. Health Care Without Harm (HCWH) è un’organizzazione non governativa internazionale (ONG) che lavora per trasformare l’assistenza sanitaria in tutto il mondo in modo che riduca il suo impatto ambientale, diventi un punto di riferimento per la sostenibilità e un leader nel movimento globale per la salute e la giustizia ambientale ↩︎
  2. Arup è una società che presta servizi professionali di ingegneria, design e altro per ogni aspetto dell’ambiente edile. “Dedicato allo sviluppo sostenibile, lo studio è un collettivo di 18.000 designer, consulenti ed esperti che lavorano in 140 paesi. Fondata per essere umana ed eccellente, collaboriamo con i nostri clienti e partner usando l’immaginazione, la tecnologia e il rigore per plasmare un mondo migliore.” ↩︎
  3. Health care’s climate footprint: How the health sector contribute ↩︎
  4. Health, environment and climate change (who.int) ↩︎
  5. One Health-Based Conceptual Frameworks for Comprehensive and Coordinated Prevention and Preparedness Plans Addressing Global Health Threats, un documento sviluppato dai ricercatori dell’ISS e da un team di esperti internazionali. (Download PDF) ↩︎
  6. Per approfondimenti vedere:
    Chi siamo | GGHH (greenhospitals.org)
    Ospedali green per un futuro più sano (who.int)
    Green Hospitals – HealthManagement.org ↩︎
  7. Choosing Wisely Italy – Promosso da Slow Medicine ETS in analogia a Choosing Wisely USA, ha l’obiettivo di favorire il dialogo dei medici e degli altri professionisti della salute con i pazienti e i cittadini su esami diagnostici, trattamenti e procedure a rischio di inappropriatezza in Italia, per giungere a scelte informate e condivise. ↩︎

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